ETICA DELLO SPORT

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Empatia-Etica-Ascolto-Relazione

Ogni tanto riprendo la lettura di un bellissimo libro consegnatomi quando feci il corso di formatore alla scuola dello sport dell’acqua acetosa di Roma. INSEGNARE LO SPORT “manuale di metodologia dell’insegnamento sportivo”. Un capitolo su cui vorrei fare un approfondimento è quello relativo all’etica dello sport. Come scrivono gli stessi autori, il contributo non vuole essere sotto forma di regolamento moralistico/operativo ma vuole sottolineare come sia veramente importante mantenere durante il proprio lavoro di tecnico allenatore un comportamento lineare e coerente da parti di chi ha la responsabilità della formazione. Oramai si sente parlare sempre di più di : mancanza dei valori, poco fair play, non osservazione delle regole, scarsa disciplina. Ma è veramente così ? E se si come mai ? Una cosa è certa, oggi la competizione sportiva rischia di essere enfatizzata soltanto in relazione all’esito finale. Arrivare primi (ad ogni costo) diventa l’unica meta da inseguire. Quindi l’ordine delle priorità si è decisamente spostato sulla parte estrema ed individualista della competizione. E quindi ? Facciamo un passo indietro. Quando ero piccolo lo sport veniva vissuto dai nostri genitori come un passatempo, vai a scuola e dopo fai sport giusto per far qualcosa. Qualcuno era più bravo ed eccelleva, qualcun altro no, si fermava all’aspetto diciamo così “ludico” e ad un certo punto interrompeva la pratica e si dedicava ad altre attività. Adesso l’attenzione genitoriale verso qualsiasi disciplina sportiva è subito proiettata verso i risultati. Ovvio non tutti, ma tanti sono così. Con i genitori più attenti si può parlare di prestazione, con altri è solo possibile riferirsi ai risultati. Sempre meno viene chiesto al bambino se si diverte. Sempre meno viene chiesto all’istruttore come si comporta il bambino e se riesce o no ad interagire con la figura dell’allenatore e gli altri componenti del gruppo. Come istruttore debbo dire che questo è un vero problema. Ma torniamo all’argomento del topic. Il termine etica viene dal greco ethos che significa “costume”=”comportamento”. Come già pensava Aristotele, lo scopo principale dell’etica è quello di trovare quei criteri universali e razionali attraverso cui poter valutare la moralità delle singole azioni in vista del fine. Quindi mi sento di riassumere il concetto di etica con 4 keywords: comportamento, azione, soggettività e coerenza. Come si sposa il concetto di etica nello sport ? Prima di tutto nel rispetto di quelle che sono le regole. Come dice Velasco “Le discipline sportive sono dei giochi con regole più complesse“. Le regole non sono solo quelle che si sviluppano sul campo, ma anche quelle legate alla relazione tra i giocatori e dirigenti. Puntando solo sul risultato si da troppa importanza agli aspetti tecnico/tattici rispetto a quelli emotivo/relazionali. Un altro aspetto è quello di uniformità di intervento da parte degli allenatori nei confronti degli allievi. Spesso si vede dare due pesi e due misure senza che ci sia una precisa strategia. Vengono fatti favoritismi (in nome del risultato ovviamente) e questo cozza con la coerenza. Essere etici è anche tramutare in azione quello che si pensa, rispettando i parametri soggettivi che abbiamo. Un tecnico può essere anche molto severo ed autoritario, ma se rispetta i punti cardine dell’insegnamento, l’uguaglianza e i valori può fare un grande lavoro allo stesso di un altro molto più accondiscendente. Etica è anche un “principio di responsabilità”, degli allenatori e degli atleti. Sempre citando Velasco, spesso vengono utilizzati troppi alibi per giustificare prestazioni scadenti e allenamenti non efficaci. Gli allievi si lamentano degli istruttori e vice versa. Problemi di comunicazione, un ego smisurato e scarsa capacità di analisi sono le cause di tanti problemi che si trovano nello sport in Italia. Non è solo un problema di Formazione Tecnica, è un problema di scarsa attitudine all’interazione da parte dei professionisti che dovrebbero essere proprio preparati in quello. Tante volte si parla di empatia, ma spesso non si sa neanche cosa sia. E anche questa è una responsabilità di noi Tecnici. Io penso che bisogna ristabilire le regole basilari sugli interventi di carattere didattico nello sport. Una di queste è sicuramente mettere l’atleta/allievo al centro del progetto, che sia di performance o di semplice ludicità. Bisogna partire prima dalla persona, valutarla fisicamente, psicologicamente, o per meglio dire emozionalmente, insomma nel suo globale. Spesso tendiamo a tradurre in numeri le persone ed ormai tutto questo non funziona più, troppi i casi di drop-out sportivo sono all’ordine del giorno e questa, oramai, è un nostra responsabilità. Prima di esigere l’impegno, i valori la coerenza etc.. etc.. dagli altri, bisognerebbe per primi dare il buon esempio tramutando in azione quello che viene detto. La figura professionale come il Counselor, per esempio, potrebbe sicuramente aiutare un processo di ristrutturazione valoriale all’interno di un ambiente sportivo.  Spesso viene confuso il Counseling con il mental training ma è sbagliato. Il problema è che, nel periodo attuale, non è possibile affrontare lo sport solo in termine di prestazione assoluta. Un conto è allenare la mente per la “performance”, un conto è strutturare un intervento che aiuti le persone a vivere l’ambiente in modo migliore. Bisogna agire con una visione d’insieme globale. Le società sportive in Italia sono al 90 % associazioni sportive dilettantistiche e non sono strutturate per lavorare su competenze che non vengono insegnate da nessuna e sottolineo  nessuna federazione sportiva di riferimento.  Come sempre il processo deve partire dagli attori in causa e non aspettarsi che dalle istituzioni venga tracciato un percorso. Quindi i principali artefici del cambiamento possiamo essere solo noi: operatori sportivi, istruttori, allenatori e dirigenti.

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Alessandro Pardocchi

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